Haiti: Viva la Rivoluzione

Tratto da La Oveja Negra. Boletín de la Biblioteca y Archivo Histórico-Social “Alberto Ghiraldo”, Rosario (Argentina), anno 8, numero 66, Novembre 2019, pagg. 30-31

Nello stesso momento in cui bruciavano le strade dell’Ecuador, Cile e di Hong Kong, il proletariato incontrollato di Haiti stava facendo lo stesso già da tempo. Le stesse forme di lotta: barricate, saccheggi, incendi di aziende o uffici statali, attacchi alle forze dell’ordine. La rimozione dei sussidi per il carburante, come parte delle misure di austerità imposte dall’FMI nel luglio 2018,[1] esplosero in uno stato di rivolta quasi permanente che nelle ultime settimane ha causato la morte di 42 persone.

Dire “incontrollat*” ai nostri fratelli [e alle nostre sorelle] di classe dell’isola caraibica non è un’esagerazione e vediamo il perché.

La popolazione di Haiti sopravvive tra la vendita ambulante e lo sfruttamento [all’interno] delle maquilas[2] tessili o elettroniche. La disoccupazione oscilla intorno al 70%. Nel 2010, le pessime condizioni di vita sull’isola sono state esacerbate da un terremoto del 7° sulla scala Richter. Secondo i dati ufficiali morirono tra le 200.000 e le 316.000 persone. Il paese fu ridotto in macerie. Il Capitale che, come il re Mida, può trasformare qualsiasi cosa in oro, iniziò un’invasione dell’isola per salvaguardare gli investimenti e crearne altri, proteggendo al contempo la democrazia. Insieme alle portaerei statunitensi e con il permesso della casta politica locale, è arrivato anche un intero gruppo di ONG e missionari pentecostali che hanno sventolato la bandiera dell’umanitarismo. In quell’anno si contarono, come quantità, 20.000 ONG,[3] generando investimenti milionari al costo dell’agonia di tutta la popolazione.[4]

La gestione e gli affari previsti nel paese più impoverito del continente non sono esclusivi degli Stati Uniti. In effetti, prima del terremoto, la Repubblica Bolivariana del Venezuela aveva già avviato il suo programma di beneficenza chiamato Petrocaribe nel 2005. Godendo di un boom economico, il governo di Hugo Chavez creò questa entità al fine di inviare petrolio sull’isola. Così [Haiti] avrebbe pagato un 40% del suo valore, rivendendo tale petrolio nel mercato interno, con l’impegno di utilizzare l’eccedenza per progetti infrastrutturali. Ovviamente nulla di tutto ciò accadde. Nel nome della “Grande Patria” dell’una e dell’altra parte si riempirono le tasche. I funzionari bolivariani Bernardo Álvarez (Petróleos de Venezuela S.A) e Pedro A. Canino González (ambasciatore) espressero il loro accordo con l’amministrazione del Petrocaribe, appoggiando le autorità del paese. Ma il peggio stava per arrivare sotto il nome dell’integrazione latinoamericana. Terremoto, profitti a spese della sofferenza, investimenti milionari che non cambiarono nulla.

Gli animi del proletariato iniziarono a riscaldarsi. Ad otto giorni dal sisma furono erette barricate a Port-au-Prince. La stampa diede a conoscere che furono alzate con cadaveri umani,[5] cercando di creare l’immagine di un territorio devastato dai selvaggi. Qualsiasi accenno di ribellione doveva essere interrotto. Né l’ottusità né la pigrizia dell’ONU fecero nulla con la “Missione di pace” nella regione, portando i suoi caschi blu nei Caraibi. La Missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione ad Haiti (MINUSTAH)[6] – che aveva iniziato la sua prima tappa nel 2004 dopo il rovesciamento del presidente Jean-Bertrand Aristide – avrebbe lavorato nel “paese per adempiere al suo mandato di stabilire un ambiente sicuro e stabile nel quale si potesse sviluppare un processo politico, rafforzare le istituzioni del governo di Haiti, sostenere la costituzione di uno stato di diritto e promuovere e proteggere i diritti umani.”(sic)[7]

La missione, che portò soldati da tutto il mondo, contava la collaborazione di Argentina, Brasile, Cile, Bolivia e Uruguay nel miglior momento del progressismo latinoamericano. Lula Da Silva sarebbe stato il direttore onorario della missione essendo il presidente che ha inviato il maggior numero di effettivi. L’ex ministro della Difesa argentino Agustín Rossi dichiarerà nel 2013, di inviare il maggior numero di assassini: “[L’Argentina] è doppiamente impegnata ad Haiti, come membro della MINUSTAH e anche come fratello latinoamericano.”

Le rivolte e le proteste contro i caschi blu si sono verificate fin dal loro arrivo e sono state represse dalla polizia. Mentre i tanti soldati della “NuestrAmerica” e di altri paesi si incaricavano di fare ciò che meglio sanno: ferire, uccidere, sfruttare sessualmente e stuprare.[8] Con queste violazioni, come in Vietnam, apparvero bambin* orfan* di padri soldati – questa volta però latinoamericani.
Il contingente nepalese portò un ceppo di colera che in 3 anni uccise oltre 8000 persone.[9] Pochissimi alzarono la voce per quest* proletari* massacrat*. Sarebbe fare il gioco alla destra e all’imperialismo? L’intervento umanitario riciclato come MINUSJUSTH (Missione delle Nazioni Unite a Sostegno della Giustizia ad Haiti) si è concluso nel 2017, sostituendo il salvataggio con un altro, il cosiddetto Ufficio integrato delle Nazioni Unite ad Haiti (BINUH).[10]

Il proletariato ad Haiti prende le strade ancora una volta. Lo sta facendo ora, contro la sua stessa borghesia e contro gli invasori della democrazia, indipendentemente dal fatto che siano ONG con dottori ben intenzionati, missionari, funzionari bolivariani o soldati yankee o argentini. Come in tutte le latitudini esplode la rivolta e come in tutto il mondo manca la rivoluzione.
Haiti, come il Cile, sono territori di sperimentazione sociale. Lo sanno gli/le abitanti delle favelas del Brasile. Dopo il massacro nei Caraibi, le armi furono usate contro gli abitanti delle colline. L’unità di pacificazione della polizia è nata in parallelo con la MINUSTAH e prese lezioni da essa.

Per questo la rivoluzione non è un bel sogno: è una dannata necessità. L’internazionalismo non è un motto umanista ma una condizione per mandare questo sistema all’inferno.
Gli/le antenat* schiav* degli/delle haitian*, tra il 1791 e il 1804, si ribellarono e giunsero al massacro di tutti i padroni dell’isola, sconfiggendo l’esercito napoleonico.[11] Il ricordo dei cimarroni [12] è ancora vivo in quelle bande incontrollate di machete, pietre e barricate che sorgono dai quartieri di Port-au-Prince.

Tradotto da LaHyena

Note del traduttore e de La Oveja Negra
[1] Nel Febbraio 2018, il FMI e il governo di Haiti giunsero ad un accordo per uno “Staff-Monitored Program.” (SMP), una politica fiscale volta a concentrarsi “sulla mobilitazione delle entrate e sulla razionalizzazione delle spese correnti, per fare spazio agli investimenti pubblici critici in infrastrutture, sanità, istruzione e servizi sociali. Ciò includerà misure per migliorare la riscossione e l’efficienza delle tasse e per eliminare sovvenzioni eccessive, incluso il carburante al dettaglio. Link: https://www.imf.org/en/News/Articles/2018/02/26/pr1868-haiti-imf-staff-reaches-staff-level-agreement-with-haiti-on-smp
[2] Le maquilas o maquiladoras sono quegli stabilimenti di produzione che importano e assemblano per l’esportazione. L’accordo consente ai proprietari degli impianti di beneficiare di manodopera a basso costo e di pagare dazi solo sul “valore aggiunto”, ovvero sul valore del prodotto finito meno il costo totale dei componenti che erano stati importati per realizzarlo. La stragrande maggioranza dei maquiladoras sono di proprietà e gestiti da società messicane, asiatiche e americane.
[3] Fin dalla fine degli anni ’90 la Banca Mondiale riportava una presenza massiccia di ONG ad Haiti a causa della corruzione e inadempienza dell’amministrazione statale haitiana. Vedasi Haiti: NGO sector study (1997) e Haiti: The challenges of poverty reduction,Vol 2: Rural poverty in Haiti (1998)
[4] Le donazioni di denaro inviate alle ONG operanti ad Haiti – specie dopo il terremoto – vennero utilizzate da molte delle dirigenze di queste Organizzazioni per pagarsi gli stipendi e vacanze. Link agli articoli: https://fpif.org/are-foreign-ngos-rebuilding-haiti-or-just-cashing-in/; https://www.propublica.org/article/how-the-red-cross-raised-half-a-billion-dollars-for-haiti-and-built-6-homes
[5] La stampa internazionale – italiana compresa – riportò questa notizia per sottolineare in modo non troppo velato come ad Haiti vi fossero un branco di selvaggi da rieducare velocemente. Link degli articoli: https://www.lastampa.it/esteri/2010/01/15/news/cadaveri-e-violenze-orrore-ad-haiti-1.37028725 ; https://www.notimerica.com/sociedad/noticia-organizan-barricadas-cadaveres-fallecidos-haiti-protesta-ausencia-ayuda-humanitaria-20100115081329.html ; https://lta.reuters.com/articulo/latinoamerica-sismo-haiti-barricada-idLTASIE60D1NH20100114 .
[6] Link: https://minustah.unmissions.org/
[7] Link: https://peacekeeping.un.org/es/mission/minustah
[8] Gli stupri e violenze fisiche dei caschi blu verso le donne haitiane generò un enorme scandalo a livello internazionale. Link degli articoli: https://www.independent.co.uk/news/world/americas/un-haiti-peacekeepers-child-sex-ring-sri-lankan-underage-girls-boys-teenage-a7681966.html ; https://apnews.com/792ea15f447d45ed940a6b537c3cf608/Exclusiva-AP:-cascos-azules-dejan-v%C3%ADctimas-sexuales-en-Hait%C3%AD
[9] L’origine dell’epidemia venne scoperta grazie alle indagini del giornalista Jonathan M. Katz e dell’epidemiologo Renaud Piarroux. Gli studi di Piarroux sono stati citati nel libro dell’epidemiologo Ralph R. Frerichs, Deadly River: Cholera and Cover-Up in Post-Earthquake Haiti. Link dell’articolo di Katz: https://www.nytimes.com/2016/08/19/magazine/the-uns-cholera-admission-and-what-comes-next.html
[10] Link: https://binuh.unmissions.org/en
[11] Per conoscere meglio la lotta del proletariato nero schiavizzato negli Stati Uniti e nei Caraibi, raccomandiamo il libretto The Hydra and The Dragon; è uno studio storico sui metodi di organizzazione fatto da Russell Maroon Shoatz. Maroon Shoatz era un membro fondatore del Black Panther Party. Il libretto mantiene uno sguardo critico verso quelle concezioni militariste marxiste-leniniste dell’organizzazione. Link: https://theanarchistlibrary.org/library/russell-maroon-shoats-the-dragon-and-the-hydra
[12] L’origine del termine “cimarrón”, secondo il filologo cubano José Arrom, deriva da un termine nativo delle antille e significa “fuggitivo.” Come spiegato nel saggio di Arrom, “Cimarrón: apuntes sobre sus primeras documentaciones y su probable origen”, il termine veniva utilizzato nell’isola di Hispaniola (dove sorgono oggi giorno gli Stati di Haiti e Repubblica Dominicana) per indicare dapprima la fuga del bestiame e, successivamente, la fuga delle popolazioni native e degli/delle schiav* african*. Link del documento di Arrom: https://core.ac.uk/download/pdf/38844643.pdf

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